E’ una bellissima mattina, lo capisco dalla luce che filtra dalla finestra: è rara una mattinata di sole in novembre e io ne sono felice. Il giaciglio accanto al mio, nel quale dorme la mia sorellina, è vuoto.
– Sicuramente è andata a cercare mio padre; non ha ancora capito che lui deve lavorare e che lei deve stare tranquilla, in casa, con me – dico sbuffando perché ora mi devo alzare e andare a cercarla.
Ed eccola là mentre guarda con attenzione mio padre che coltiva il piccolo manso a lui affidato.
Se mi guardo intorno con attenzione vedo altri mansi1, con contadini che coltivano la terra; in questo mese mio padre è impegnato nell’aratura e nella seminagione. Al di là del fiume si vede la grande casa del padrone con il forno, le stalle per i cavalli, i fienili, le cantine; c’è anche una cappella dove io vado spesso a trovare fra’ Raffaele, un monaco grasso e buffo nel camminare, che alla domenica, quando celebra la messa, con voce burbera predica: – Ricordatevi che nel giorno del Signore dovete pregare e non lavorare; gli uomini non debbono arare i campi o potare le vigne, le donne non debbono tosare le pecore o pettinare la lana!
C’è un boschetto dove di solito il nostro padrone va a cacciare, ma quando lui non c’è io e altri bambini andiamo a giocare in quel bellissimo posto popolato di creature dolcissime come scoiattoli, lepri, volpi; una volta siamo riusciti a prendere uno scoiattolo, poi lo abbiamo lasciato andare.
E’ bellissimo correre e giocare tra quei fittissimi alberi verdi, ma ora che è novembre tutti se ne stanno chiusi nelle loro casette e io mi annoio tanto. Il vecchio padrone, morto qualche mese fa, era arcigno e avaro; quando lui passava noi ragazzi lo guardavamo in malo modo e lui rispondeva:
– Cosa avete da guardarmi, piccole pesti? Non vi lascio forse abbastanza per vivere?
La verità, però, la conosceva anche lui: pretendeva per sè la maggior parte del raccolto e ai contadini non lasciava neanche di che sfamarsi2. Ora suo figlio, che ha ereditato le terre3, si dimostra più generoso e più gentile e sa stare agli scherzi di noi bambini. Dopo essermi riscossa dai miei pensieri, chiamo mia sorella:
– Dai Berta, lo sai che devi stare con me,, vieni, torniamo a casa!
Ma, mia sorella è fermamente decisa a stare accanto a mio padre; allora, persa la pazienza, grido: – Basta, Berta, vieni subito! – Inutilmente. Mio padre riferisce con un sorriso:- Ma dai, lasciala qui; piuttosto vai al aiutare la mamma!
Ormai, rassegnata, mi allontano e sento le grida di gioia di Berta che può restare con mio padre.
Prima di rientrare, mi soffermo a vedere mio padre e mia sorella, chini al suolo per mettere a dimora delle nuove piantine ricevute dal fattore4, poi, in casa, guardo mia madre intenta a cucire dei panni con dita agili e pazienti e le dico: – Mamma non dovresti affaticarti tanto a cucire. Mia madre allora fa un sorriso e dice: – Lo sai, sono tante le attività che noi donne dobbiamo compiere: tessere, tagliare gli abiti, cucirli col filo, pettinare la lana, conciare la canapa, lavare gli abiti, tosare le pecore; domani è giorno di festa e prima di sera devo aver finito di cucire questo panno appena tessuto5.
Mentre ella parla la guardo: anche se ormai non è più tanto giovane e ancora tanto bella, con i capelli castani legati in lunghe trecce splendidi occhi azzurro cielo; e poi è tanto dolce e buona che credo che mio padre sposandola, abbia ricevuto un tesoro di valore inestimabile.
– Se vuoi renderti utile – prosegue mia madre – porta un paniere di uova fresche a nostra cugina, dato che non sta molto bene. Mi raccomando, però, non fare tardi!
Per me è una gradita occasione di camminare all’aria aperta; devo recarmi abbastanza lontano, oltre il fiume, presso il bosco. Dopo aver fatto visita alla parente, sulla via del ritorno, ai margini della boscaglia un vociare confuso, strani suoni e rumori suscitano in me curiosità e attirano i miei passi verso il folto degli alberi. E lì assisto a uno spettacolo che mi lascia meravigliata. Infatti vedo il padrone a cavallo con altri suoi amici: indossa una tunica e gambali rossi, sul braccio ha un grosso guanto sul quale troneggia un falcone6. Il cavallo ha briglie con borchie dorate ed è accompagnato dai cani che indossano collari decorati a smalto.
Chissà che animali saranno cacciati oggi: cervi, caprioli oppure lepri o conigli?
Dato che non ho mai assistito a una battuta di caccia mi fermo e guardo con attenzione quanto sta per succedere. Aguzzo gli occhi e tra i cespugli scorgo una lepre che cerca di sfuggire alla morte ormai prossima.
Mi fa uno strano effetto sentire il bosco risuonare dei latrati furiosi dei cani. Non si sentono più i dolci cinguettii degli uccellini: probabilmente si saranno nascosti per paura del falcone. I cani, i cavalli e la lepre sembrano volare sopra i cespugli e i corsi d’acqua ed io debbo correre molto per stare al loro passo. Sembra che la lepre sia stanca, infatti rallenta; allora il signore suona il corno e i cani si avventano su di lei: ormai per l’animale non c’è più speranza perché è accerchiato dai cani; basterebbe un minimo cenno del padrone per decidere se far vivere o morire la preda. I cavalieri ormai hanno raggiunto la lepre: una freccia più veloce delle al colpisce a morte l’animale. Dovrei essere felice per il padrone, ma non lo sono: le lacrime mi scendono lungo le guance senza che io lo voglia.
La caccia è finita e mi ha lasciato una sensazione di vuoto dentro. Mi ritrovo così a meditare: – Come è diversa la vita dei servi da quella dei signori; mentre i contadini lavorano dall’alba al tramonto, giorno dopo giorno, senza un attimo di distrazione, i proprietari passano il tempo cacciando e divertendosi, senza pensare agli altri.
Intanto sbuca dai cespugli un leprotto che cerca disperatamente e inutilmente la madre. Mi fa tanta pena: è solo e indifeso. Un’altra scena si affaccia alla mia mente: il piccolo spaurito, viene attaccato dal falcone che lo scorge dal cielo.
Sarebbe troppo crudele.
Nel frattempo il leprotto mi è venuto vicino e allora gli dico: – Non ho niente da darti, piccolino. Mi avvio versa casa, ma l’animale mi segue. – Che fare? – Mi chiedo. Il mio cuore ha già deciso: raccolgo il cucciolo con l’intenzione di tenerlo con me.
Immersa nei miei pensieri, con in braccio il piccolo leprotto, mi dirigo verso casa.


Note Storiche:

  1. Il feudo comprendeva sia la parte padronale sia quella affidata ai servi della gleba. Nella parte padronale vi erano: la dimora del signore, il forno, le stalle, i fienili, i depositi e la chiesa. La seconda parte veniva suddivisa in mansi; se il manso veniva venduto, il servo che lo coltivava passava alle dipendenze del nuovo proprietario, assieme al terreno, alla casa e agli animali.
  2. Da contratti del tempo, risulta che i coloni dovevano dare al padrone: 1/3 del frumento e della segala, 1/4 di tutti gli altri cereali, 1/3 di vino, un maiale grande del valore di dodici denari per chi disponeva di un podere intero; piccolo, di sei denari, per quanti disponevano di un mezzo podere, una pecora grande o piccola (di quattro o due denari) secondo le stesse modalità, un donativo consistente in due polli e dieci uova; dovevano prestare periodicamente e gratuitamente lavoro (corvées).
  3. Nel Capitolare di Kiersy (877) si riconosceva che alla morte di un grande feudatario gli succedesse il figlio primogenito nell’amministrazione e nel godimento del feudo. Nel 1037 tale concessione fu estesa anche ai piccoli feudatari.
  4. Il feudatario amministrava le sue terre grazie ad un fattore che si interessava di tutto: trattava con i servi, si occupava delle raccolte e dei prodotti e rendeva conto al padrone del suo operato.
  5. Le notizie sul lavoro delle donne e sul divieto di lavorare nei giorni festivi sono tratte dal “Capitularia Regum Francorum” in “Monumenta Germaniae Historica”.
  6. Si distinguono due categorie di falchi: quelli ad alto volo, nobili e spettacolari, più adatti ai territori non coperti da foreste e quelli da basso volo che possono essere adoperati pure in territori boschivi. La caccia coi falchi diffusa nel Medioevo era un’arte difficile che richiedeva una grande passione nell’addestrare i rapaci per renderli atti alla cattura dei volatili e degli animali di modeste dimensioni, lepri in special modo.